QUANTO COSTA LA SALUTE IN ITALIA
Gli esperti e i giornali che li interpellano si dividono grosso modo in due gruppi: chi, per avvalorare la tesi della insostenibilità economica e quindi l’esigenza di privatizzare, afferma che il Servizio Sanitario Nazionale costa troppo e chi conduce la battaglia per aumentarne le risorse considerate esigue rispetto ai bisogni espressi dalla popolazione.
Non esiste allo stato attuale la terza categoria, quella che
ritiene complessivamente congrua la spesa corrente ma si interroga su equilibrio e qualità della stessa e sul tema strategico
degli investimenti occorrenti a mantenere e migliorare il sistema dei servizi pubblici preposti a garantire il diritto alla tutela
della salute.
Il grafico,
rielaborazione dei dati pubblicati nelle varie edizioni del Compendio del Servizio Sanitario Nazionale pubblicato dal Ministero
della Salute, offre lo spunto per una serie di riflessioni, precedute da una considerazione.
Le tre
edizioni del compendio riportano dati diversi per le medesime voci. Certo non si tratta di grandi differenze, ma la sola
constatazione che ci siano rende un po’ incerto e meno attendibile il quadro generale, in assenza tra l’altro di qualsiasi
spiegazione dell’accaduto.
Ora alcune riflessioni:
· contrariamente alle favole metropolitane allegramente propinate, la spesa totale ammontava al 7,4% del Pil (Prodotto interno lordo) nel 1989, si impennava al 8,5% nel 1991, scendeva al 7,3% nel 1996 e risaliva all’8,0 % nel 2002. Come si vedrà successivamente nei grafici, purtroppo per ora parziali, raffiguranti la spesa negli altri paesi europei, la spesa italiana è da considerare tra le più virtuose;
· fino al 2002, non esisteva il fenomeno più volte lamentato della maggiore spesa da parte delle famiglie in presenza di misure governative o regionali (ticket, revisioni del prontuario farmaceutico, esclusione di prestazioni dal SSN, ecc.). Ad esempio, negli anni tra il 1992 al 1996, particolarmente significativi sul piano delle restrizioni finanziarie (si noti la picchiata della spesa pubblica), la spesa privata non ha subito variazioni rilevanti;
· per curiosa coincidenza (o forse no) le punte di spesa pubblica sono state più pesanti negli anni successivi alla stipula dei contratti di lavoro, tenendo conto che il primo vero rinnovo dopo tangentopoli è stato quello del 1999, comprendente anche la nuova normativa sull’esclusività medica/ecc.
Precisando
che i valori del Belgio 2001 si riferiscono al 2000, in questo grafico, sempre di fonte Compendio, è possibile confrontare la
spesa pubblica (1996 – 2001) e privata (2001) di vari paesi europei. Da una valutazione inevitabilmente sommaria per mancanza di
ulteriori informazioni, spiccano alcune anomalie come i dati della spesa pubblica di Danimarca e Norvegia e quello della Grecia
per la spesa privata. L’Italia risulta in entrambi i casi tra i paesi virtuosi, mentre particolarmente alte risultano le spese
pubbliche di Francia, Germania, Norvegia.
Ritornando
all’Italia, è giusto attendere con interesse il prossimo Compendio comprendente gli anni in cui si sono dispiegati gli effetti
delle modifiche istituzionali (federalismo, ecc.) approvate tra il 1999 ed il 2001.
Infine, nelle tre edizioni del Compendio sono totalmente assenti i fondamentali capitoli
riguardanti le risorse finanziarie pluriennali e annuali destinate ad investimenti per la riorganizzazione del Servizio
Sanitario Nazionale accompagnati da una relazione organica sulla situazione. Si spera che la lacuna sia colmata nelle
prossime edizioni. |