L’OSPEDALE FANTASMA
Una storia di provincia, ma non troppo
Anche la provincia veronese ha il proprio fantasma che appare e scompare. Si chiama “l’ospedale di don Verzè”.
Poco meno di un quindicennio
fa, l’illustre prete rivelò pubblicamente di aver fatto un sogno nel quale gli
veniva ordinato o vaticinato, possiamo immaginare da chi, di costruire un
ospedale nella sua terra natia, Illasi, provincia di Verona.
Ad onor del vero già prima,
alla fine degli anni ’80, don Verzè, senza bisogno di aspettare il sogno, aveva
già contattato la Regione del Veneto e vari comuni nel cui territorio insisteva
un ospedale per acquisirlo – dietro convenzione con la Regione – alla propria
Fondazione.
Erano gli anni nei quali, a causa di molteplici
fattori concomitanti (tecnologie sempre più avanzate, metodiche e farmaci
innovativi, preparazione professionale del personale), si rendeva
indispensabile riorganizzare la rete ospedaliera nazionale e regionale per evitare
lo scadimento della qualità assistenziale, gli
sprechi, gli sperperi.
Il dibattito era naturalmente serrato, teso,
difficile. Alle argomentazioni e alle proposte dei
responsabili di governo si contrapponevano le legittime proteste delle
amministrazioni locali, timorose di perdere un presidio a tutela della salute e
fonte di occupazione, e di forze politiche e sociali che la pensavano
altrimenti.
In questo contesto, don
Verzè si vestì i panni della madonna pellegrina e cominciò a girare per la
provincia veronese incontrando, tra il 1989 e il 1992, sindaci e giunte
comunali preoccupati delle sorti del loro ospedale e che vedevano in lui
il prossimo autore di un autentico miracolo.
Valeggio sul Mincio fu la prima tappa di un pellegrinaggio che proseguì a Tregnago (dove venne
pubblicato un progetto di nuova organizzazione dell’ospedale, adottato da una
lista che vinse le elezioni comunali), per poi fermarsi ad Illasi (dove avvenne
l’episodio del sogno e fu perfino pubblicato un opuscolo patinato sull’erigendo
“ospedale del Crocefisso”).
Nel frattempo, don Verzè non disdegnava di incontrarsi e di offrire la propria buona parola (o
promessa) anche ad altre popolazioni del veronese.
Insomma don Verzè, che invocava l’aiuto celeste ad
ogni piè sospinto per poi accontentarsi di quello terreno (pagato con i soldi
dei contribuenti), nei fatti non perdeva occasione per
manifestare il suo scetticismo e la sua contrarietà all’operato degli
amministratori pubblici veneti, impegnati ormai a ridisegnare la rete ospedaliera
che nell’est veronese, dove don Verzè aveva i propri interessi, consisteva
nella realizzazione di un unico ospedale pubblico in grado di sostituire in
sicurezza e qualità gli allora 5 ospedali (Cologna Veneta, San Bonifacio,
Soave, Tregnago, Zevio) dell’Ulss n. 24.
Nel 1993, dopo tanto
peregrinare e tanto promettere (io sono pronto ma sono i vostri amministratori
che non capiscono) in su e in giù per la provincia veronese, don Verzè,
abbandonati alla loro sorte tutti coloro che fino a quel momento pendevano
dalle sue labbra, trovò un nuovo interlocutore nel sindaco di Lavagno, comune
sempre dell’Ulss 24 nel quale insiste un appezzamento di collina – a suo dire
donatogli da un benefattore – sul quale entrambi vedevano ottima la
realizzazione di un ospedale privato convenzionato.
Don Verzè iniziò ad esercitare un’azione di
pressione prima nei confronti delle amministrazioni locali della zona e poi,
insieme ad esse, della Regione, i
cui amministratori gli ribadirono la scelta già determinata.
Don Verzè – a detta di chi lo ha conosciuto - è
persona arrogante, caparbia, tenace, che ha realizzato anche buone cose pagate comunque a caro prezzo dalle pubbliche amministrazioni
(contrariamente a quanto propagandato da certa pubblicistica postasi al suo
servizio, la convenzione dell’ospedale S. Raffaele a parità costava – e forse
costa ancora oggi – molto di più alla Regione Lombardia degli ospedali
pubblici), amico dei potenti al cui potere ricorreva e ricorre per ottenere i
propri scopi e della cui amicizia si vantava e si vanta quando trova un
interlocutore poco propenso a compiacerlo. Insomma – sempre a detta di chi lo
ha conosciuto - non ha certamente le
caratteristiche di un prete ma piuttosto quelle di un
navigato finanziere di successo.
Indispettito dalle decisioni dei
governanti veneti di allora, iniziò ad esercitare contro di loro un
notevole e spregiudicato fuoco di fila, approfittando del periodo storico –
tangentopoli – e del disorientamento dell’opinione pubblica.
Ci sono ancora negli archivi dei giornali le
fotografie di un giorno del maggio 1994, che costituì
l’apice (e il canto del cigno) di quella attività propagandistica. Un gruppo di titolati sostenitori – leghisti, post democristiani,
uomini di spettacolo, ecc. – sorrideva, insieme a don Verzè, ai piedi della
croce che ancora si vede dall’autostrada Serenissima, appena piantata sulla
collina adiacente al convento di San Giacomo. E’ fatta, dichiarò il
prete, forte dell’appoggio della compagnia di giro
raffazzonata alla bell’e meglio.
Ma, nonostante tutto ciò, le cose andarono
diversamente.
Nella primavera del 1995, prima della fine della
legislatura, la Giunta regionale del Veneto finanziò il nuovo ospedale pubblico
di San Bonifacio – che dovrebbe entrare prossimamente
in funzione -, permettendo all’Ulss n. 20 di bandire, aggiudicare l’appalto e
di iniziare i lavori che dovrebbero giungere prossimamente a conclusione
dotando di una struttura adeguata alle esigenze sanitarie e assistenziali il
territorio dell’est veronese.
Da allora, di tanto in tanto,
una volta qua e una volta là, l’ospedale fantasma di don Verzè è riapparso alle
cronache.
Due mesi fa, il tormentone è ricominciato. Con una (deliberatamente?) fumosa delibera, la 1343 del 7 maggio
2004 (ironicamente?) titolata “Comune di Lavagno. Piano Regolatore
Generale – Variante n. 5 – Parco collinare”, la Giunta regionale del Veneto ha
approvato di trasformare il famoso terreno di 330.000 metri quadrati – quello
del famoso benefattore, di cui però oggi si sono perse
le tracce – da parco collinare a “zona a servizi per attrezzature
pubbliche e di interesse pubblico”.
Nel passato, la cosa sarebbe stata definita
scandalosa per almeno tre motivi: approvare una delibera come questa in piena campagna elettorale comunale e europea è
quantomeno sospetto, costruire in quel punto significa arrecare un gravissimo
danno ambientale, costruire con l’intensità prevista costituisce una volgare,
profana speculazione.
Ma l’obiezione fondamentale riguarda la ancora una
volta supposta realizzazione di un ospedale, che
ospedale non è, da quanto si capisce dalle dichiarazioni degli uomini di don
Verzè. Si dovrebbe trattare di una struttura di 15
posti letto (non più Rsa come annunciato) specializzato nella medicina
predittiva (boh), la diagnostico e il follow up.
Insomma dietro i paroloni, un poliambulatorio
(centro sanitario) per il quale sarà chiesta la convenzione (rieccola) con il
Servizio Sanitario Nazionale e che, con uno spreco
intellettuale ed economico sospetto, dovrebbe essere realizzato da architetti
del calibro di Renzo Piano, Richard Mayer e Alvaro Siza.
Quindi, in un periodo ormai prolungato nel quale è strategicamente prevista la riorganizzazione della
rete ospedaliera con una diminuzione dei presidi (nell’est veronese sono già
chiusi o totalmente riconvertiti Cologna Veneta, Soave, Tregnago, Zevio –
quest’ultimo sotto costante minaccia di interruzione definitiva della
sperimentazione gestionale pubblico privata) si vorrebbe aprire una struttura
sanitaria che niente aggiunge in termini di qualità e di servizio a quanto
esistente e previsto, molto in termini di spesa derivante dalla eventuale
convenzione.
In conclusione, oltre alla possibilità di vedere
realizzate uno spreco di denaro pubblico e una
speculazione edilizia accompagnato da uno scempio ambientale, la vicenda
suscita oggi almeno due interrogativi.
Il primo riguarda la mancanza di una
benché minima reazione da parte delle amministrazioni locali, quelle per
intenderci che nel passato facevano fuoco e fiamme contro la chiusura o la
riconversione degli ospedali dell’est veronese. Mancanza di dignità o più
semplicemente ignoranza crassa dell’argomento?
Il secondo, l’altrettanto fragoroso silenzio del
centro sinistra locale e regionale. Ignoranza crassa o strisciante condivisione
del progetto?
Nel frattempo la sanità veneta (e non solo) sta
sprofondando in una situazione finanziaria sempre più pesante causata
principalmente, questo è imperdonabile, da assenza di idee
e di una qualsivoglia strategia di politica sociosanitaria (e non solo).
Di ciò, l’ospedale (fantasma) di don Verzè
costituisce un simbolo, di cui i cittadini, trattati da sudditi attraverso
l’uso di efficaci strumenti propagandistici, faticano
a percepire l’aspetto assolutamente negativo.
Roberto Buttura