L’ITALIA IN VENDITA
“Debito pubblico, anche a maggio raggiunto un nuovo record” titolava il Corriere della sera giovedì 12 agosto, giusto una settimana fa. Una titolazione drammatica per un articolo, di difficile e complicata lettura, riportante una serie d’informazioni ricavate dal Bollettino statistico della Banca d’Italia, fitto di cifre piuttosto consistenti e d’oscuri ammonimenti (“pesa il declassamento deciso a luglio dall’agenzia di rating Standard and Poor’s”).
Nel numero del L’espresso della stessa settimana, il tormentone sul debito pubblico era ripreso e integrato da un’intervista rilasciata da Gianmaria Gros Pietro, amministratore delegato di Autostrade Spa (prima come manager pubblico e ora come privato, cosa di cui peraltro sembra non vergognarsi affatto) il quale, con impudenza pari alla mancanza di vergogna, sollecita lo Stato a smettere di fare l’imprenditore vendendo (o meglio svendendo) o ritirandosi dalle attività che non hanno eticamente (?) a che fare con l’interesse generale, interesse generale che il campione del mercato e della concorrenza intravvede e stabilisce, chissà perché non essendosi degnato di spiegarlo, solo nei settori della scuola e della giustizia.
Oggi, 18 agosto di nuovo sul Corriere della sera inizia una inchiesta sulle privatizzazioni di Massimo Mucchetti, ex penna del L’espresso passato da poco tempo al quotidiano di via Solferino. Il titolo ancora una volta tradisce ciò che si intende dimostrare: “Privatizzazioni: nella gara dei profitti lo Stato imprenditore vince ancora”.
La cosa sorprendente (ma forse no) è che questo modo di ragionare e di fare “cultura politica ed economica” attraversa ormai i due schieramenti nei quali è costretta la politica italiana e i rispettivi sostenitori.
Botte da orbi e noiosissime e opportunistiche dissertazioni se è meglio essere al centro del centro sinistra (o centro destra) o alla sinistra (o destra) del centro sinistra (o centro destra), con i giornali e le televisioni amici pronti ad amplificarle, ma quando si parla di offrire al paese (e all’Europa) un programma in grado di indicare un modello di organizzazione della società, il dibattito diventa immediatamente monocorde ed omogeneo.
La parola d’ordine di entrambi gli schieramenti è: privatizzazione. L’unico distinguo – adoperato a voltaggio universale - è il seguente: se l’operazione di privatizzazione lo fa una maggioranza di centro destra, il centro sinistra dichiara di essere preoccupato che si tratti di una svendita, se l’operazione è condotta dal centro sinistra il centro destra dichiara analoga preoccupazione.
Emblematico il caso dell’Aem, l’azienda municipalizzata di Milano,di cui sta per essere collocato sul mercato un ulteriore 17,6 per cento di azioni, portando il capitale pubblico al 34,6 per cento. Il Comune di Milano pensa di incassare dall’operazione 470 milioni di euro e con parte del ricavato costruire nuove case popolari.
Una pensata degna dei Blues Brothers, alla quale l’opposizione di centro sinistra si oppone non tanto nel principio ma, con il sostegno della Lega Nord probabilmente in cerca di creare rogne alla maggioranza di cui fa parte, solo perché collocare su un mercato oggi asfittico l’Aem significherebbe svendere l’azienda.
In pratica, a Milano come a Roma la svendita (perché di questo si tratta) dei gioielli di famiglia pubblici dovrebbe da un lato portare a costruire nuove case e dall’altro diminuire il debito pubblico.
Complice una legislazione concepita e approvata in questi ultimi dieci anni di confuso blaterare (straordinario quello sul federalismo), in Italia interi settori di fondamentale importanza pubblica sono stati o stanno per essere spezzettati e posti in vendita, senza che ciò comporti un effettivo beneficio per i cittadini, aldilà del profitto ripartito tra gli azionisti (peraltro piuttosto problematico di questi tempi).
Nel dibattito è quasi completamente assente una sia pur minima riflessione sul fatto che un settore come l’energia, per fare un esempio, riveste una tale importanza pubblica da abbisognare di una salda e continua strategia politica del governo italiano e europeo. Un strategia politica attenta non solo a promuovere ricerca sulle possibili fonti integrative o alternative alle attuali, ma a governare oggi per l’esclusivo interesse pubblico sia l’approvvigionamento sia l’utilizzo dell’energia combattendo sprechi e sperperi. In questo senso, il nostro punto di riferimento non può essere rappresentato dagli Stati Uniti, per i quali l’attuale posizione dominante mondiale permette, senza giustificarle, il sovrapporsi tra politica di governo e interessi delle multinazionali e livelli di spreco e sperpero di risorse energetiche altrui (tenendo le proprie accuratamente di riserva) allarmanti (per tutti).
Chi non è mai stato un sostenitore dello Stato totalitario di comunista memoria e non ha, quindi, scheletri nell’armadio o primogeniture da nascondere, dimenticare o far dimenticare, ma del messaggio laico della rivoluzione francese “libertà, uguaglianza, fraternità” non deve abdicare alle proprie convinzioni che assegnano allo Stato, nelle varie forme e livelli in cui si articola, un ruolo fondamentale nel garantire pari opportunità per tutti i cittadini attraverso la piena assunzione di responsabilità di governo e di gestione, senza complessi d’inferiorità nei confronti delle nuove dittature culturali che oggi indicano nel mercato e nella concorrenza il “Shangrilà” alla pari di quanto facevano le vecchie che santificavano il barbiere sovietico.
ROBERTO BUTTURA