NON C’E’ LIMITE AL PEGGIO,
PURTROPPO
La settimana scorsa, con un
comportamento maggiormente adeguato a rapinatori, che contano sulla sorpresa
per assaltare e depredare una banca, che a legislatori consapevoli del ruolo conferito
loro dai cittadini di questo paese, i senatori della Casa delle Libertà, si
suppone obbedendo ad un qualche ordine impartito non si sa bene come e non si
sa bene perché, hanno presentato e approvato in Commissione Affari sociali un
emendamento al Decreto “Di tutto di più” di modifica del regime di esclusività
imposto ai medici dal decreto Bindi.
Soffermarsi sul suo contenuto
costituisce offesa al buonsenso e lo affermo da accanito e non pentito
oppositore delle norme e dell’applicazione del “decreto Bindi” che, in nome di
una visione ideologica, ha prodotto danni cospicui al servizio sanitario non
solo senza risolvere il nodo centrale del rapporto con i medici ma estendendone
l’ambiguità al complesso dell’organizzazione sanitaria e delle categorie che in
essa operano.
Dopo tre anni di promesse non
mantenute, il circo costituito dalla maggioranza che governa (per modo di dire)
questo paese, pressata da alcuni eventi esterni quali lo sciopero per il
rinnovo del contratto della categoria medica e la scadenza delle elezioni
europee, ha deciso di concedersi alla platea esibendosi in un numero di
illusionismo che dovrebbe servire a recuperare un po’ di applausi (e consensi)
perduti trastullandosi nel dolce far niente, figlio dell’assoluta mancanza di
idee e di contenuti dimostrati.
Tagliato fuori, senza nemmeno
curarsi della forma, l’inane e controproducente Sirchia, ancora alle prese con
i problemi derivanti dalla propria doppia identità di medico (che approva la
protesta dei medici) e di ministro (che la disapprova), la maggioranza ha
estratto dal cappello il classico coniglio elettorale costituito
dall’emendamento citato, nel chiarissimo intento di indebolire la compattezza
del fronte della protesta medica, facendo l’occhiolino alle componenti
sindacali politicamente affini alla maggioranza.
Ad oggi, questa manovra non ha
dato i risultati sperati. Alcuni esponenti sindacali medici hanno plaudito
all’emendamento (mentre altri lo hanno bollato con parole di fuoco) ma,
sottolineando sospettosi il periodo elettorale che ne impedisce la sperabile
definitiva approvazione anche da parte della Camera dei deputati, hanno
ribadito che si tratta di un apprezzabile ma insufficiente gesto di buona
volontà.
Oggi, ponendo alla Camera dei
deputati il voto di fiducia sul decreto, la maggioranza ha chiuso, per modo di
dire, la partita e vedremo domani se ciò sarà stato sufficiente a dividere
l’intersindacale medica che aveva già deciso altre giornate di sciopero.
Detto questo, vale la pena di
soffermarsi un attimo sull’atteggiamento del centro sinistra che, con le
onorevoli Bindi e Turco, ha preannunciato una ferma opposizione al
provvedimento, subito contraddetta nel merito sul delicatissimo argomento della
reversibilità dell’esclusività (chiedo scusa per il bisticcio di parole).
Infatti, modificando il proprio
orientamento consolidato nel tempo (che escludeva la possibilità di
reversibilità), il centro sinistra ha deciso di presentare una proposta di
regolamentazione di questa parte dell’esclusività, dimostrando in tal modo di
essere preoccupato di mantenere il contatto e il rapporto politico con il mondo
sindacale medico.
Dando per scontato che la modifica
all’attuale regime approvata oggi aumenta la confusione, rimane l’esigenza di
riflettere su una vicenda nella quale la classe medica ha ancora una volta dimostrato abilità e
pragmatismo e la politica si è dimostrata carente se non sfornita di solide,
sufficienti e competenti idee e strategie di politica sanitaria.
Il ruolo e le funzioni del medico
è questione dibattuta da molto tempo e non solo nel nostro paese.
Moralmente e tradizionalmente
esponente delle cosiddette professioni liberali, socialmente e categorialmente
individualista, egli ha visto nel tempo mutare la propria condizione con il
trasformarsi della sanità da opera di beneficenza (anche pubblica) a
salvaguardia dei derelitti nella quale il professionista agiva con il minimo
condizionamento a complessa organizzazione pubblica di tutela della salute
nella quale le convinzioni e le esigenze personali devono essere compatibili
con quelle generali.
Inevitabile, quindi,
l’oscillazione della categoria, perfettamente riscontrabile nella storia e nei
comportamenti dei maggiori sindacati medici, costantemente alla ricerca, come
canta Battiato, di “un centro di gravità permanente”, tra la consapevolezza del
proprio ruolo etico e la rivendicazione a volte qualunquistica di una
considerazione sociale che, peraltro, non è mai venuta meno.
Anche l’attuale fase di contrasto
con il governo Berlusconi costituisce esemplare dimostrazione di questa doppia
identità.
Da un lato, la rivendicazione
contrattuale si è basata su un fondamentale assunto politico, la difesa e la
salvaguardia del Servizio Sanitario Nazionale, motivandolo con condivisibili
critiche e opposizioni ad alcune intenzioni governative; dall’altro quando la
maggioranza ha estratto dal cappello il coniglio dell’emendamento
anti-esclusiva, motivato ancora una volta con l’esigenza di porre fine alla
sovietizzazione del medico- kulako una parte significativa del mondo sindacale
medico ha strizzato immediatamente l’occhiolino, restando comunque al coperto
per evitare di essere accusata di svendere la primogenitura (il contratto) per
un piatto di lenticchie (l’esclusività).
Alla fine, comunque, da questo
balletto, non ne esce bene il Servizio Sanitario Nazionale e a farne le spese
saranno i cittadini, cioè coloro per i quali esiste e funziona.
Peggio di così!
Roberto Buttura