Quando
dieci anni fa Don Luigi Verzè da Illasi, il prete - manager oggi
ottantaquattrenne, benedisse la croce fatta erigere sul colle di San Giacomo a Lavagno,
aveva già bene in mente cosa avrebbe voluto fare dell’intera area di oltre 330
mila metri quadri acquisita dalla società appena costituita “Quo Vadis” alla
cui guida aveva posto Gian Paolo Sardos Albertini (l’avvocato che ha
rappresentato il Sindaco Dario Molinaroli nel ricorso contro lo scioglimento
del Consiglio comunale di Lavagno a seguito delle dimissioni di nove dei suoi
consiglieri che nel 2002 gli contestarono numerose scelte amministrative).
L’obiettivo,
annunciato la settimana scorsa, in occasione degli sfarzosi festeggiamenti per
il suo onomastico (ospiti anche il cantante Al Bano e l’attore Renato
Pozzetto), è quello di realizzare un grande ospedale.
Per
l’intera area, che fino a qualche settimana fa era destinata a parco pubblico e
sottoposta a vincolo paesaggistico, la Regione ha infatti concesso il cambio
d’uso trasformandola, con una delibera pubblicata il 1 giugno, in terreno
adatto alla realizzazione di attrezzature pubbliche.
Per
la verità, l’esaltante successo del San Raffaele, il famosissimo ospedale che
Don Luigi ha realizzato negli anni ’70 a Segrate, alle porte di Milano, oggi
sede anche di vari Dipartimenti (dalla medicina riabilitativa alle
biotecnologie) e di corsi di laurea ad indirizzo scientifico, lo avevano già
indotto, verso la fine degli anni ‘90, a ripetere l’esperienza nella Capitale.
In
una zona vicino l’EUR, quartiere Mostacciano, aveva realizzato un grande e
attrezzato ospedale che aspettava “solamente” di essere convenzionato con il
Servizio Sanitario Nazionale.
Ma i suoi interlocutori istituzionali di allora, la “banda catto-comunista”, come furono definiti l’allora Ministra della Sanità Rosy Bindi e il Governatore del Lazio Piero Badaloni, di vedute evidentemente ben diverse dal collega lombardo Formigoni, si misero di traverso e indussero così il prete manager, indebitato all’inverosimile con le banche, a vendere il manufatto appena realizzato agli Angelucci, noti esponenti della sanità privata romana.
La
forzata operazione, definita da Don Verzè un “sadico esproprio”, fruttò,
tuttavia, alla Fondazione San Raffaele del Monte Tabor oltre 270 miliardi.
A
Lavagno, invece, il “benefattore” si sente al riparo da ogni attacco e sa che
le cose andranno in maniera ben diversa tanto da rassicurare il neo-rieletto
Molinaroli con le parole : “…..Dario, avrai il San Raffaele ……...”
Come
se fosse lui e non il neo - Sindaco a dover dare il suo benestare alla
realizzazione della struttura e ad inviare in Regione, entro il prossimo 25
ottobre, il relativo piano attuativo.
Nel
frattempo, dopo aver interpellato l’architetto di fama mondiale Renzo Piano
(che si è reso indisponibile), si ipotizzano gli interventi dell’americano
Richard Mayer e del portoghese Alvaro Siza.
Non
sarà facile, infatti, inserire nel contesto collinare l’opera che Don Verzè
vuole a tutti i costi realizzare: fabbricati per 25 mila metri quadrati con
ambulatori, piscine riabilitative, alloggi tipo RSA, ricoveri, residenze per
pazienti e familiari e perfino sale destinate all’aggiornamento dei medici e a
corsi di laurea e formazione.
Sarà
necessario realizzare, inoltre, una nuova strada parallela all’autostrada
Milano-Venezia e due nuove rotonde, demolendo rustici e sbancando terreni.
Tutto
rigorosamente approvato dalla neoeletta amministrazione comunale di Lavagno –
però – perché Don Verzè una condanna per abuso edilizio per il San Raffaele di
Milano l’ha già incassata.
Così
come ha incassato una condanna per tentata corruzione di un assessore ai tempi
in cui il Cavalier Berlusconi (allora semplicemente un palazzinaro) utilizzò
quella che allora era una semplice clinica privata per far dichiarare la zona
di Segrate come “area ospedaliera” e far dirottare altrove il traffico aereo di
Linate che disturbava gli abitanti di Milano 2 appena edificata.
Il
convenzionamento con la sanità pubblica non è al momento in discussione anche
perché sarebbe difficile spiegare ai cittadini di Tregnago e Soave che, mentre
i loro ospedali vengono dismessi nel nome di una migliore razionalizzazione dell’offerta sanitaria, si approvi
l’utilizzo di una nuova struttura ospedaliera ad appena 15 chilomentri di
distanza dal nuovo Ospedale di San Bonifacio destinato a diventare il Polo
Unico ospedaliero del Nord-est veronese.
E poi,
anche il Servizio Sanitario Nazionale ha dato qualche dispiacere a Don Luigi:
nel ’98 (in piena tangentopoli sanitaria) cinque dei reparti del San Raffaele
finirono sotto inchiesta.
Si
parlò di truffe e rimborsi “gonfiati” e il 90% dei malati di denti convocati in
caserma testimoniarono di aver ricevuto prestazioni meno complesse dei rimborsi
richiesti.
All’’inserimento
della struttura nel Piano regionale sanitario con relative convenzioni si potrà
comunque pensare più avanti ……..
Ma non
sarebbe molto meglio se in quei benedetti
terreni (è il caso di dirlo nonostante la sospensione a divinis del Don)
del Colle di San Giacomo si continuasse a coltivare la vite?
In
fondo, con l’Amarone e il Valpolicella che il prete - manager vi produce ha
vinto il premio speciale della giuria nell’edizione 2004 dell’Oscar del vino.