Le persone obese hanno diritto all’assegno di invalidità
La sentenza sotto riportata è frutto del ricorso
presentato da una signora di 130 chili. La donna
alta 150 centimetri, si era vista negare per due volte
l’assegno di invalidità dai Tribunali di Torino. Ora la Cassazione ribaltando
le sentenze dei giudici di merito le ha dato ragione
per i motivi contenuti nella sentenza stessa.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
SENTENZA 16251/2004
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 5 luglio 2000, R. G. conveniva dinanzi al Tribunale di Torino il Ministero del Tesoro per ottenere il riconoscimento della sussistenza del requisito sanitario necessario ai fini della concessione dell’assegno ex art. 13 legge n. 118/1971, richiesto in via amministrativa e negatole perché riconosciuta invalida in misura inferiore al 74%.
Il Ministero, costituendosi, chiedeva il rigetto della domanda perché
Espletata consulenza tecnica medico-legale, il Tribunale, con sentenza del 12- 30 gennaio 2001, rigettava la domanda.
Avverso tale decisione la G. proponeva appello con ricorso depositato il 10 aprile 2001, chiedendone l’integrale riforma e l’accoglimento delle originarie pretese.
Il Ministero del Tesoro resisteva al gravame.
Con sentenza del 3 luglio-7 agosto 2001, l’adita Corte d’appello di Torino rigettava il gravame sulla base della consulenza tecnica espletata in primo grado, ove risultava una invalidità della G. pari al 67% e, pertanto, al di sotto del limite richiesto dall’art. 13 legge n. 118/1971 (come modificato dall’art. 9, 1° comma, D.Lgs. n. 509 del 23 novembre 1988) per godere dell’assegno di invalidità.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la G. con un unico, articolato motivo, ulteriormente illustrato da memoria.
Il Ministero del Tesoro si è limitato a chiedere, con Atto DI costituzione, la conferma dell’impugnata pronuncia.
Su istanza del PG, che ha chiesto che il ricorso
sia dichiarato inammissibile o, in subordine, manifestamente
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il proposto ricorso R. G. denuncia violazione dell’art. 13 legge 30 luglio 1971 n. 118 (come modificato dall’art. 9, 2° comma, D.Lgs. 23 novembre 1988 n. 509), dell’art. 2, 1° comma, D.Lgs. 23 novembre 1988 n. 509 e del D.M. 5 febbraio 1992 (approvazione della nuova tabella indicativa delle percentuali di invalidità), nonché omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5).
In particolare, la ricorrente osserva che il CTU di primo grado, dopo aver accertato, all’esame obiettivo, la presenza di obesità ginoide con aspetto elefantiaco delle cosce H: m. 1,50 perso: kg 130, nonché la presenza di PAOS: 160/90, ha affermato che secondo le tabelle ministeriali per l’invalidità civile D.L. 1992 il grado di invalidità poteva essere indicato nella misura del 40% per l’obesità (cod. 7105) e del 45% per la cardiopatia ipertensiva in paziente diabetica: e così complessivamente nella misura del 67%.
Aggiunge che tale conclusione, recepita dal Giudice di primo grado, era stata censurata nell’atto di appello con riferimento alla valutazione del grado di inabilità determinato dall’obesità, perché non rispettosa di quanto prescritto dal D.M. 5 febbraio 1992; ma, ciò, senza esito alcuno, avendo la Corte territoriale rigettato il gravame, omettendo finanche di rinnovare la consulenza medico- legale disposta dal primo Giudice, ed incorrendo, in tal modo, nelle violazioni sopra denunciate.
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Ai fini della determinazione del grado di invalidità civile deve farsi riferimento al D.M. 5 febbraio 1992 contenente la nuova tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e le malattie invalidanti elaborata sulla base della classificazione internazionale delle menomazioni effettuata dall’OMS (v. art. 2, 1° comma, D.Lgs. n. 509/1998 cit.).
Tale tabella include l’obesità nella fascia di invalidità dal 31 al 40%, prevedendo al codice 7105 l’obesità, (indice di massa corporea compreso tra 35 e 40) con complicanze artrosiche.
Sennonché l’indice di massa corporeo della G. risulta ben superiore a 40, tenuto conto che detto indice, secondo le indicazioni contenute nello stesso decreto ministeriale, si ottiene dividendo il peso del soggetto per il quadrato della sua statura espresso in metri e cioè, nel caso in esame: kg. 130: 2,25 (1,50 per 1,50) = 57,77
Deve quindi concludersi che erroneamente i Giudici di merito hanno condiviso l’opinione del CTU, in quanto lo stesso ha preso in considerazione, a sua volta errando, il cod. 7105 di cui al D.M. richiamato, che stabilisce un grado di invalidità tra il 31% ed il 40% per l’indice di massa corporea tra 35 e 40, mentre quello della G. era di 57,77; situazione, questa, che richiede un’indagine diretta ad acclarare il grado di invalidità della ricorrente, svincolata dai limiti specificati nella richiamata tabella.
Il ricorso va, pertanto accolto.
Conseguentemente l’impugnata sentenza va cassata e la causa rinviata per il riesame ad altro giudice d’appello, come designato in dispositivo, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
PQM
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Genova.
Roma, 24 febbraio 2004.
Depositata in Cancelleria il 19 agosto 2004.