CHI E’ GIROLAMO SIRCHIA E PERCHE’ SI PARLA MALE DI LUI?
Il titolo di un famoso film psicodramma americano
degli anni ’70 era “Chi è Harry Kellerman e perché parla male di me?”. Il misterioso
protagonista, il suddetto Harry Kellerman, altri non era che l’alter ego di una
rockstar schizoide superbamente interpretata da Dustin Hoffman.
Ecco, sembra proprio la stessa storia di Girolamo
Sirchia.
E’ il Ministro della Salute da due anni e mezzo ma
soffre perché nessuno se n’è accorto, ogni tanto tira fuori la testa per
dimostrare che c’è ma viene coperto di improperi.
Se non fosse che non è stato il dottore ad
ordinarglielo, ci sarebbe da compiangerlo. Se non fosse che se l’è voluta lui,
farebbe tenerezza.
Ormai è un po’ come sparare sulla Croce Rossa e il
rischio è che alla fine nel suo dolce far niente diventi pure simpatico.
Tanto per fare due esempi, nel mese di novembre è
riuscito a dare una prima volta ad un’impresa titanica, nella quale avevano
fallito tutti i suoi predecessori, come quella di compattare contro se stesso e
il governo di cui fa parte tutti, dico tutti, i medici e cioè coloro che
professionalmente sono i suoi colleghi, e in dicembre pure circa 100
parlamentari del Polo delle Libertà, che non hanno mai trovato il minimo
diffettuccio in tutte le leggi che Silvio ha fatto approvare a proprio favore,
lo hanno dichiarato, con una petizione consegnata allo stesso Cavaliere,
ministro indesiderabile.
Perfino su una proposta ammiccante nei confronti
della classe medica ha trovato solo un
po’ di pelosa e ritrosa solidarietà da parte dell’associazione dei
primari ospedalieri. Gli altri nisba o tutt’al più tanti se e tanti ma.
Si tratta del progetto piccolo piccolo, nonostante
sia titolato in modo altisonante “Disegno di legge recante principi fondamentali
in materia di Servizio sanitario nazionale”,
approvato alla vigilia di Natale.
I principi di cui si parla sono due, come gli
articoli, e fondamentali proprio non sono.
Il primo introduce una nuova figura, il
“Coordinatore clinico aziendale” rappresentato da un medico con funzioni di
supermanager per il governo clinico. La nomina spetta al Direttore generale
dell’azienda sanitaria su un nome proposto e scelto al loro interno da un
apposito consesso dei dirigenti di struttura complessa (ex primari).
Dalla marea di compiti pedantemente elencati
sembrerebbe che alla fine il suo ruolo si esaurisca nel sostituire, se il
Direttore generale lo ritiene opportuno, l’attuale Direttore sanitario.
L’unica relativa novità all’attuale quadro è
rappresentata dalla modifica delle attuali norme concorsuali per i dirigenti di
struttura complessa (ex primari).
In questa parte della proposta legislativa si
intravede a fatica la timidissima volontà di limitare i poteri del Direttore
generale, oggi peraltro ampiamente arruolato dai ruoli medici, spostando alcune
responsabilità sul nuovo Coordinatore.
Per la scarsa chiarezza strategica e per i
meccanismi viziosi descritti nel provvedimento, egli diventa un ulteriore
tecnico autocrate in grado di alimentare la confusione senza risolvere il vero
problema costituito dal potere monocratico e autoreferenziale del Direttore
generale.
Il secondo se possibile, è ancora peggio. Nel
mantenere fermo il limite massimo di collocamento a riposo dei dirigenti medici
a sessantacinque anni, introduce la possibilità discrezionale da parte
dell’azienda sanitaria di trattenimento in servizio fino al settantesimo anno
di età dei dirigenti di struttura complessa (ex primari) ospedaliera e fino al
settantaduesimo del personale medico universitario
Due obiezioni sorgono immediatamente. In primo luogo
attendiamo con curiosità l’adeguamento normativo delle procedure concorsuali e
del regime contrattuale dei fortunati e secondariamente, ma non troppo,
domandiamo come sia possibile limitare o escludere pregiudizialmente dai
benefici di una legge, perché in tale guisa dovrebbero configurarsi, una parte
consistente della stessa categoria professionale che, lo dice la dizione stessa
– dirigenza medica -, costituisce un tutt’uno e come sia altrettanto possibile con
le altre figure dirigenziali del Servizio sanitario nazionale.
La cosa più singolare e peggiore è rappresentata dal
fatto che Sirchia ripete, in perfetta linea di continuità con i suoi predecessori
ulivisti – in particolare la Bindi -, l’errore di consegnare nelle mani del
Direttore generale ulteriori strumenti per utilizzare, mascherato da falsa
liberalizzazione, un potere discrezionale enorme attraverso il quale gestire
rapporti personali e di categoria in modo totalmente clientelare e
completamente avulso dalla buona amministrazione dell’azienda sanitaria, giustificandolo per di più con false
motivazioni tecniche.
Ancora una volta, Sirchia dimostra di non avere
chiaro il quadro legislativo e normativo attuale, e propone soluzioni minimali
che confliggono con l’insieme.
Facile prevedere, quindi, che anche queste faranno
la fine delle altre – come la modifica dell’esclusività di rapporto -,
insabbiate e sparite nelle commissioni parlamentari.
Così potremo continuare a lamentare il lento,
strisciante, triste tramonto del Servizio sanitario nazionale e del diritto
alla tutela della salute per responsabilità e demerito di una coalizione che
aveva il promesso il Paradiso e non riesce a attuare nemmeno un misero
Purgatorio.
Roberto
Buttura