QUESTIONE MEDICA, QUESTIONE
SANITARIA
Mercoledì 3 dicembre è una data da ricordare. A Roma si svolgerà una manifestazione dei “camici bianchi” contro la Legge finanziaria in approvazione al Parlamento e contro lo stato di grave abbandono in cui versa il Servizio Sanitario Nazionale.
Non è la prima volta che succede, ma stavolta si ritrovano attorno ad una piattaforma comune tutti ma proprio tutti i sindacati medici – perfino la Cimo che ha lasciato in questo caso da parte i tradizionali rivendicazionismi e l’isolazionismi -, con il solo distinguo della Cgil medici sulla parte riguardante l’esclusività di rapporto.
Pesantissimo è l’elenco dei motivi della protesta -la riforma previdenziale, il rinnovo del contratto, la riforma dello stato giuridico- e altrettanto pesanti le azioni, la prima del 3 dicembre, di mobilitazione contro la politica polista.
Al giro di boa di metà legislatura, il governo Berlusconi deve far fronte, quindi, ad una pesantissima contestazione proprio da un settore della sanità pubblica dal quale aveva incassato notevoli consensi nelle elezioni del maggio 2001.
La politica attuata dal centro sinistra con il Ministro Bindi aveva portato ad una strana e paradossale divaricazione tra sigle sindacali mediche (non tutte) e categoria. Motivo del contendere il decreto 229 altrimenti noto come decreto Bindi.
Il provvedimento, di cui continuiamo a sostenere la complessiva impraticabilità di attuazione, era considerato dai vertici sindacali, per la parte riguardante l’esclusività di rapporto a fronte del riconoscimento legislativo della cosiddetta “libera professione intramoenia”, come un evento positivo per il medico.
Viceversa l’avversario, il centro destra fiancheggiato da alcune sigle sindacali, aveva cura di enfatizzarne la portata cosiddetta ideologica – la sovietizzazione del medico - al fine di trarne il massimo profitto politico.
Naturalmente, come si è visto, l’ottenne, ma a prezzo di promesse, tutto sommato bislacche, che oggi non riesce a mantenere.
Ne fa fede il percorso tragicomico dei vari progetti di legge allo scopo presentati dal Ministro Sirchia e regolarmente insabbiati dal Parlamento.
La protesta medica comunque si inserisce in una situazione piuttosto fosca che non lascia presagire nulla di buono sul futuro del Servizio Sanitario Nazionale.
In primo luogo preoccupa il quadro di riferimento istituzionale. La legislazione approvata negli ultimi anni ha introdotto una notevole confusione di ruoli e di competenze tra i vari livelli dello Stato, eliminando nel contempo le funzioni di controllo tipiche delle sfere di interesse e gestione pubblica previste in tutti i paesi a più o meno variabile tasso di federalismo o autonomia.
Parimenti da non sottovalutare è la mancanza di motivazioni ideali e professionali del personale dopo anni di attacchi ad alzo zero contro il servizio pubblico anche da parte di chi adesso si trova a gestirlo e contemporaneamente la crescita di comportamenti opportunistici sollecitati da istituti normativi e contrattuali che ne incentivano l’interesse privato a danno dell’attuazione del diritto alla tutela della salute da parte del cittadino.
Dulcis in fundo, per modo di dire, il continuo allarme sul cosiddetto “costo” del Servizio Sanitario Nazionale. A questo proposito, giova rammentare che da circa dieci anni la spesa per il suo funzionamento si mantiene attorno a 6 per cento del Prodotto interno lordo (Pil) - 8,4 compresa la spesa privata -, largamente al di sotto ad esempio dagli Stati Uniti che spendono per pubblica assistenza circa il 6,2 per cento – complessivamente addirittura il 13, 9 – trovandosi pure circa 44 milioni di persone, circa il 16 per cento della sua popolazione, totalmente sprovviste di una qualsiasi copertura sanitaria. Come si vede una spesa accettabile che non lo è più in caso di decadenza della tempestività e della qualità dei servizi offerti, come purtroppo sta cominciando ad accadere in questi ultimi tempi, su cui è indispensabile una puntuale e rigorosa azione di denuncia dei cittadini. Peraltro sul piano finanziario ben più allarmante sono la mancanza di una solida programmazione di ampio respiro strategico e degli investimenti necessari.
Se la protesta medica riesce a focalizzarsi su questi obiettivi, coinvolgendo la pubblica opinione, è possibile –forse non probabile – che riesca sensibilizzare il governo e magari – ma non c’è da giurarci – a distogliere il Ministro Sirchia dalle reminiscenze personali, peraltro fortemente viziate da notevole pressappochismo, dedicate al “buon tempo antico” delle suore angeli degli ospedali, impegnandosi un po’ più attivamente e positivamente a risolvere i problemi della sanità italiana.
Roberto Buttura