SALUTE MENTALE
Nei primi giorni dello scorso caldissimo agosto, lo psichiatra Arturo Geoffroy ha ucciso in modo spettacolare lo psicologo Lorenzo Bergamini, il primo di una serie di persone che avrebbero dovuto essere “giustiziate”.
Il dottor Geoffroy, vittima di un’aggressione da parte di un paziente, aveva sviluppato un rancore lucido e freddo verso la successiva “ingiustizia” e i relativi responsabili, per non essere stato risarcito del danno a suo parere subito.
Non solo, egli aveva alimentato la protesta attraverso interviste giornalistiche trasmesse su televisioni e stampate su giornali, riuscendo a interessare il Presidente della Commissione Affari Sociali del Senato che portò il caso all’attenzione dei suoi colleghi di commissione.
Nel frattempo, contrariamente alle prime erronee notizie diramate dopo il delitto, al momento del fatto il dottor Geoffroy risultava regolarmente iscritto all’Ordine dei Medici di Milano.
Difficile, quindi, se non impossibile da parte di chiunque prevedere una conclusione della vicenda così terribile da superare la fantasia per il dottor Bergamini, ma pure per lo stesso dottor Geoffroy.
Il periodo solitamente carente di notizie da prima pagina, ha permesso ai giornali e alle televisioni di riproporre all’attenzione dell’opinione pubblica, legandoli in modo forzato alla vicenda, i temi legati alla salute mentale e all’adeguatezza quantitativa e qualitativa dei servizi sociosanitari competenti.
Ogni occasione per rilevare carenze istituzionali ed organizzative va colta, ma raramente la malattia mentale ha avuto modo di mimetizzarsi come è successo in questo caso.
In molte persone, inevitabilmente, il modo stereotipato, frettoloso e superficiale con il quale i mass media hanno presentato l’assassinio, oltre a suscitare un naturale raccapriccio, ha consolidato l’avversione nei confronti della legge 180, meglio conosciuta come legge Basaglia.
Per fare un esempio, in quei giorni su un giornale lo scrittore Ferdinando Camon, ora trasformatosi in opinionista, aveva chiuso il suo articolo sulla vicenda “Ma distruggendole (le strutture ospedaliere) è rimasto il vuoto, come se i malati non esistessero più. Basaglia ha qualche merito, ma anche parecchi delitti sulla coscienza. Questo è l’ultimo.”
Un commento incredibile nella sua stupidità, tagliato apposta per alimentare la parte peggiore dell’uomo, invitandolo a non affrontare nel giusto modo un problema così complesso e lacerante.
Ora, non esiste alcun dubbio sulle carenze organizzative, strutturali e di personale di cui soffrono i servizi di tutela della salute mentale del Servizio Sanitario Nazionale. Ci sono disattenzioni e ritardi inaccettabili.
Ma vale la pena di ricordare ai Camon grandi o piccoli che albergano in noi le motivazioni di una scelta politica che onora il nostro Paese e che esalta il rispetto che tutti dobbiamo alla dignità dell’uomo, specialmente il più debole.
La psichiatria, come più comunemente la tutela della salute mentale, è una delle cosiddette “discipline povere” della medicina. La malattia mentale evoca nell’uomo sconcerto e paura. Nelle patologie più pesanti, la stessa persona sofferente tende a mascherare il più possibile il male da cui è affetto.
Fino ad un passato recente in Italia (ancora oggi in altri paesi) la cultura dominante riteneva la malattia mentale una specie di tunnel senza uscita, una malattia incurabile, e, quindi, la risposta migliore e più umana da parte della società era di farsi carico della “custodia” dei sofferenti. I manicomi e gli ospedali psichiatrici ne furono gli strumenti.
Questi “asili della maggior sventura”, come furono abitualmente chiamati dalla pubblica opinione, erano luoghi di grande dolore e sofferenza, nei quali, data per assodata l’irreversibilità della patologia, il vero problema era costituito dal mantenere la “custodialità” in termini accettabili per la dignità umana e professionale dei degenti e degli addetti.
Non a caso, proprio da questi ultimi nacque e si sviluppo il primo fondamentale nucleo di un movimento che chiedeva di poter curare veramente in un rapporto di profondo rispetto per la condizione e la dignità del malato o presunto tale.
Erano e sono temi che incidono sui valori e sui principi della nostra civiltà ai quali non si può rispondere con battute ad effetto scritte o dette per raccogliere un facile consenso.
Reclamare con forza una organizzazione dei servizi adeguata alle esigenze e in grado di relazionare e collaborare con le famiglie, evitando che restino sole e disperate con i loro problemi, è importante e positivo.
Sparare “effetti speciali” non lo è per niente.
Ad una domanda sarebbe giusto rispondessero i vari Camon.
Il 40 per cento delle morti violente è costituito dai cosiddetti “drammi familiari”, omicidi e moltissime volte suicidi scaturiti da motivi paragonabili a quello di Geoffroy. Anche per questi il colpevole è Basaglia?
ROBERTO BUTTURA